Gestire i capricci dei bambini è una delle sfide più difficili per i genitori, ma con pazienza ed empatia è possibile trasformarli in opportunità di crescita emotiva.
La disregolazione emotiva dei bambini è una delle sfide più comuni e frustranti che i genitori si trovano ad affrontare. Stiamo parlando di quei comportamenti che includono pianti, urla e atteggiamenti ostinati: i cosiddetti “capricci”.
Ma cosa sono davvero i capricci? Esistono davvero? E, soprattutto, come possono i genitori gestirli in modo efficace? (spoiler alert: le emozioni, che stanno alla base dei capricci, non si gestiscono: si accolgono).
Il termine capricci
Iniziamo con lo sfatare un mito che sembrerebbe resistere più nel Bel Paese che altrove, quello che vede il bambino come un’estensione dell’adulto di riferimento. Lo stesso bambino che poi, quando devia dal percorso stabilito, contrasta l’autorità o sfoga le proprie emozioni, si guadagna il titolo di “capriccioso”.
In realtà la parola capriccio non significa nulla, non nell’accezione in cui viene utilizzato per lo meno. I capricci non esistono.
Lo hanno capito gli anglosassoni, che per descrivere il comportamento esplosivo, ostinato, o di (apparente) rabbia immotivata si servono del termine “tantrum“, scatto di ira. Una forma, dunque, di espressione del disagio emotivo che il bambino sta provando in quel momento.
Per approfondire il concetto di ‘tantrum’ e come affrontarlo, consulta questo articolo dell’American Psychological Association che esplora le strategie basate sulla ricerca per sostenere lo sviluppo emotivo nei bambini.
Di contro, il termine capriccio significa, cito l’Enciclopedia Treccani: “Voglia improvvisa e bizzarra, spesso ostinata anche se di breve durata o anche fenomeno strano, anomalo”.
Se il termine inglese, dunque, riporta l’attenzione sullo stato emotivo della persona, validandolo in qualche modo o per lo meno riconoscendolo, la parola italiana descrive qualcosa di origine non chiara, una stranezza senza motivo, una sciocchezza di poco conto e di breve durata, senza radici e, apparentemente, senza importanza.
Gestire i capricci nei bambini
Perché è necessario fare chiarezza su questo punto? Non certo per voler fare i pignoli o per lanciarci in divagazioni semantiche che, fine a se stesse, lascerebbero il tempo che trovano.
No, è importante perché spostare il focus sul disagio emotivo ci permette di comprendere che ogni episodio, per quanto eccessivo, fastidioso, logorante o snervante, non accade per caso ma nasconde un bisogno implicito, una richiesta da parte di quell’emozione di essere vista, compresa e accolta.
Non si supera ciò che non si attraversa è un caposaldo della psicologia che i genitori si sforzano di contraddire da generazioni a suon di “ora basta, se non la pianti ti lascio qui in mezzo al parcheggio”; “smettila di piangere senza motivo o ti do io una vera ragione per farlo”; “la pianti di fare i capricci? Non è successo niente, stai facendo storie per nulla” e via discorrendo, in un elenco infinito di affermazioni che rivelano molto più su di noi che sui bambini che definiamo capricciosi.
Innanzitutto che siamo umani, che siamo stanchi e spesso sopraffatti. Che con ogni probabilità non abbiamo ricevuto un’educazione emotiva ma che, nonostante le nostre contraddizioni, amiamo i nostri figli sopra ogni cosa ed è per questo che, quando la nebbia scompare e si ricomincia a pensare lucidamente ci possiamo abbassare all’altezza dei bambini e riconnetterci con loro: “scusa se ho alzato la voce, sono stanco e ho perso la pazienza, non è colpa tua. Ora dimmi, cosa succede? Ti ascolto, sono qui con te.”
Si può perdere la calma ma si può anche ritrovarla.
Disregolazione emotiva: da cosa è causata?
Il periodo dei “capricci”, presto o tardi e in modalità più o meno intense, arriva per tutti.
Si tratta, infatti, di una normale fase dello sviluppo infantile, tipica dei bambini di età compresa tra 1 e 5 anni, con un picco che avviene in concomitanza con la fase di autodeterminazione. Fase che, a partire dai 18 mesi circa, apre le porte al periodo ormai noto come terrible two.
In questa fase, i piccoli stanno imparando a esprimere le proprie emozioni, ma non hanno ancora sviluppato pienamente le capacità linguistiche o di autoregolazione necessarie per farlo in modo appropriato. In aggiunta a questo, la spinta all’autonomia tipica di quest’età porta a un inevitabile incontro/scontro con i limiti; limiti che generano nei più piccoli continue frustrazioni.
Le disregolazioni emotive possono essere scatenate da molteplici fattori: frustrazione (il bambino vuole fare qualcosa ma non ci riesce), bisogno di attenzione, stanchezza o fame e limiti imposti (difficoltà ad accettare i “no”). I bambini mettono alla prova i loro limiti e i limiti che gli vengono imposti da ciò che li circonda.
Questi limiti, però, generano un sovraccarico sensoriale difficile da contenere, talvolta anche fino a 5-6 anni, quando la maturazione del linguaggio e di nuove capacità cognitive ed emotive fornirà loro gli strumenti per trovare il proprio posto nel mondo.
Una fase importantissima dello sviluppo
Perché i “capricci” sono importanti? Anche se possono sembrare un ostacolo alla serenità familiare, i capricci hanno una funzione evolutiva. Attraverso queste manifestazioni, il bambino impara a conoscere e a esprimere le sue emozioni, sperimenta i limiti e le regole imposte dagli adulti e inizia a sviluppare strategie per gestire situazioni di frustrazione.
I genitori non devono capire o condividere i motivi per cui i bambini perdono la calma: le cose che fanno arrabbiare i bambini sono diverse da quelle che fanno arrabbiare gli adulti (come ci ricorda Carlos Gonzales nel suo libro Bésame mucho, N.d.R). I bambini hanno più che mai bisogno di un adulto che ponga confini protettivi.
Come gestire la disregolazione emotiva
Cominciamo con lo stabilire un confine importante: i bambini, come gli adulti, hanno il diritto di dire “no”. I genitori leggono decine di articoli, libri, manuali di pedagogia, per capire come fare a far accettare i “no” ai propri figli e poi loro per primi non sono in grado di ricevere e accogliere un atteggiamento oppositivo.
Un bel problema, oltre che una bella contraddizione, non trovate? Contraddizione che però non avviene per caso, per cattiveria o incuria. Semplicemente, quando negli adulti fatica, impotenza e frustrazione arrivano al culmine, insieme alla pazienza perdono anche la possibilità di entrare in contatto con il bambino.
Invece i bambini hanno bisogno di tempo, pazienza, presenza; non di un adulto che urli più forte. Ricordate una cosa importante: sempre, inevitabilmente, da una lotta di potere entrambe le parti escono sconfitte.
Gestire la disregolazione emotiva richiede pazienza, empatia e coerenza. E, anche se non esiste un vademecum del genitore perfetto tanto quanto non esiste uno schema universale applicabile a ogni bambino e a ogni famiglia, ecco alcune strategie che possono risultare utili per anticipare o accogliere un momento di crisi:
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Rispecchiamento emotivo: dare un nome ai sentimenti che il bambino sta esprimendo in un determinato momento calmerà l’intensità del sentimento stesso perché il bambino lo sentirà riconosciuto e si sentirà visto, compreso e accolto.Il ruolo del genitore, però, è di accompagnare il bambino nel processo di sviluppo della capacità di autoregolazione, dunque è bene ricordare che un no resterà un no e dovrà restare un no, purché motivato e coerente.
Questo significa accettare tutte le manifestazioni di collera dei bambini, anche le più estreme? Sì e no. Di fronte a un bambino che disregola bisogna legittimare l’emozione provata ma al contempo si deve far passare il messaggio che il comportamento messo in atto per manifestarla non è, invece, legittimo.
“Capisco che sei arrabbiato, va bene provare rabbia, ma non va bene picchiare/dare calci/lanciare cose”. A quel punto è utile proporre una soluzione alternativa: “quando senti che proprio sei molto arrabbiato sbatti i piedi” o qualsiasi cosa voi genitori riteniate accettabile.
- Offrire scelte controllate: offrire il più possibile, nell’arco della giornata, l’opportunità di scegliere, meglio se tra due soluzioni entrambe ritenute accettabili per il genitore. I bambini vanno rispettati nel loro desiderio di autodeterminazione ma non vanno gravati del peso delle decisioni: “le regole le fanno i genitori, anche se tu puoi dire la tua”.
- Far sentire la propria presenza: far capire ai bambini che li “vedete”, che siete con loro è estremamente importante. La sola presenza fisica non basta, se nel frattempo siete impegnati a fare altro.
- Assegnare etichette positive: in generale sarebbe meglio non assegnare etichette ai bambini, ma se proprio non potete trattenervi assegnate solo etichette positive per attivare un circolo virtuoso. I bambini che si sentono riconosciuti come valenti e competenti faranno tutto il possibile per mantenere questa versione di sé, così nutriente per la loro autostima.
- Favorire il tempo in natura: limitare la frequentazione di ambienti chiusi, affollati e troppo stimolanti e favorire il tempo in natura, all’aria aperta, quanto più possibile, anche in inverno. Prediligere ambienti in cui il bambino corre meno rischi permetterà di ridurre i divieti imposti e al contempo permetterà al bambino di allenare e nutrire la sua autonomia.
- Creare routine e regole chiare: abituare i bambini a una vita il più possibile ordinata e in cui le regole sono chiare e presenti li aiuterà a tollerare meglio le regole quando le incontrerà sul suo cammino.
Appurato, dunque, che quella della frequente disregolazione emotiva è una parte inevitabile dello sviluppo infantile, oltre a tenere duro e armarsi di santa pazienza, potrebbe essere utile per i genitori pensare che queste crisi rappresentano anche un’opportunità di insegnare ai propri figli importanti lezioni sulla gestione delle emozioni e sul rispetto dei limiti.
Con pazienza, empatia e coerenza, infatti, i genitori possono affrontare questa fase con serenità, aiutando i loro bambini a crescere emotivamente sani e sicuri di sé.